The church of Our Lady of Cea
in Banari (Sassari)

The monument complex of Our Lady of Seve or Cea - not far from the village of Banari, in the fertile valley bathed with the waters of the river Mannu - is one of the few medieval monasteries surviving almost intact until the C20th, when several archaeological digs have taken place on it.(...) Come altri esempi già visti nelle pagine di questa rivista, infatti, l'edificio è sempre stato attribuito ad entità religiose di fantasia, con datazioni approssimative oppure di comodo.

Currently the monastic complex of Our Lady of Cea is made up of the Romanesque church, an closed internal courtyard (used until the second half of the last century for animal breeding and crop cultivation) and by several buildings known as "the Hermitage". (...)

La storia.

Furono i romani a sfruttare per primi - dal I secolo a. C. - le risorse ambientali di questa vallata, idonea alla coltura della vite. Si stabilì una bottega vinicola di grandi dimensioni, composta da vari ambienti di lavoro coperti, rimase in attività fino al II secolo d. C. L'area fu poi abbandonata per circa dieci secoli, sino alla seconda metà del XII, quando i primi documenti testimoniano la presenza di ben due insediamenti: il villaggio medievale di Seve e il priorato di Santa Maria.

Le prime notizie sul priorato sono memorizzate nel registro amministrativo (condaghe) del monastero benedettino di San Pietro di Silki, oggi inglobato in Sassari, in schede databili tra la fine del XII secolo e la prima metà del successivo. Le prime due - riferibili al periodo del re Comita (1198-1218) - riguardano una permuta di servi operata fra l'abadessa di Silki ed il priore di Seue Paganellu. Un'altra carta della stessa raccolta, e databile al regno di Mariano II (1218-1232), testimonia di una lite fra il priore di Silki e il nuovo priore di Sancta Maria de Seue, Marcualdu (M. Rassu 1996, p. 96).

Non si conosce a quale ordine monastico appartenessero questi religiosi, poiché la chiesa di Santa Maria di Seve non compare nei censimenti degli ordini conosciuti. Nondimeno la maggior parte degli studiosi è d'accordo nell'assegnare questa chiesa all'ordine benedettino di Vallombrosa, come eremitaggio dipendente dall'abbazia di San Michele di Salvennor, per quanto nessun documento medioevale edito la menzioni tra i possedimenti vallombrosani in Sardegna. In effetti, Santa Maria di Cea fu unita a Salvennor solo in età moderna, forse nel XVI secolo (G. Zanetti, 1968).

Ad attestare l'identità vallombrosana cominciò alla fine del XVI secolo l'amministratore di Salvennor, tale Adriano Ciprari. Dal canto suo, un autore secentesco, Francesco De Vico, attribuì l'abbazia di Salvennor nientemeno che ai cistercensi, aumentando ulteriormente la confusione: "San Miguel de Salvenari cabeza de todas las Abadias que gozava la Orden Cisterciense en Sardena; usava su Abad mitra y baculo: tenia anexo un heremitorio en Santa Maria de Seve junto a Samastene" (F. De Vico 1639, p. 31).

È probabile invece che il monastero di Seve sia appartenuto ad un ordine cavalleresco-militare. Lo suggerisce una citazione in un documento del 1213 proveniente dall'archivio di Barcellona: "lo preceptor de la casa de Palau cedeix a Juan Perafita una casa situada in loco vocitato Nespler, in sacraria S.Marie de Seve " (J. Miret Y Sans 1910, p. 163). Non si esclude, comunque, che tale donazione sia pertinente ad un'omonima località della Catalogna, intitolata Seva, e ubicata presso il villaggio di Balenyà, nella Plana de Vie.

Notizie successive a questo periodo vengono da un documento pontificio del 1248 che attesterebbe il privilegio concesso tempo addietro ad alcune chiese della diocesi di Ploaghe (Santissima Trinità di Saccargia, Santa Maria di Contra, San Michele di Salvenor, Sant'Antonio di Salvenor, Santa Maria di Cea) di rilasciare indulgenze. Infatti, il 25 ottobre 1248 da Lione, il papa confermava al vescovo di Ploaghe tali privilegi (D. Scano, 1940, p. 108; L. D'Arienzo, 2000, p. 162; pp. 177-178).

Sulla facciata della chiesa, a destra del portale d'ingresso, nella metà del XIII secolo (nel 1250 o nel 1261, secondo la lettura) alcune iscrizioni furono accuratamente incise nel paramento murario di calcare da frater Guicardus de Montid e fra' Galdo. Una delle epigrafi è preceduta da una croce "a Tau", simbolo di vari ordini religiosi medioevali, tra cui i Francescani (D. Vorreux 1988), ma anche di diverse confraternite di Canonici Agostiniani Ospedalieri, come quelli di Sant'Antonio di Vienne, o quelli di San Giacomo di Altopascio (E. Coturri - D. Biagiotti, 1991). L'attenzione al riguardo è rivolta proprio a questi ultimi, cui la chiesa di Santa Maria appartenne sicuramente nel Trecento (M. Rassu, 1997, p. 37, p. 49).

Il ricordo successivo della chiesa, un secolo più tardi, è nella lettera del gennaio 1355, dove il re Pietro I invitava alle prime Corti Generali del Regno di Sardegna, celebrate a Cagliari nel febbraio successivo, anche il priore "Sancte Marie de Seue" (M. Rassu 1996, p. 97), che tuttavia non si presentò ai lavori parlamentari.

In quegli anni (1358-59) il villaggio di Seve, dipendente dal governo aragonese, comprendeva otto uomini atti alle armi ed altrettante famiglie, mentre la parrocchia di "Seuer" sborsava le decime di censo alla Santa Sede.

L'ultima menzione di Santa Maria di Cea è nel Capitolo Generale di Altopascio tenutosi nel giugno 1359 sotto il gran maestro Jacopo Chelli (1346-1361): fu inviato in Sardegna dalla casa madre tale fra' Giovanni Selvani di Pescia a gestire l'Ospedale di Santa Maria di Cea, presso Banari (SS), e la chiesa dei Santi Giacomo e Michele di Searu, in agro di Villacidro ["... Item fratrem Johannes Selvani de Piscia licet absentem tam quam praesentem ad regendum hospitalis Sancti Jacobi de Alexandria et hospitalis S. Ugonis de Begulia de Corsica et hospitalis Sancte Marie de Sieve et ecclesiam Sancti Jacobi et Sancti Michelis de Siari de Sardinea et hospitale de Pontremulo et ad locandum cum pleno mandato "; Taci Scordo 1995, p. 3, p. 10; M. Rassu 1996, p. 7; M. Rassu 1997, p. 49].

Qualche anno dopo, il monastero fu abbandonato, sorte seguita anche dal vicino villaggio. L'intero complesso di Santa Maria di Cea, trasformato in prebenda, fu unito all'ex monastero benedettino di San Michele di Salvennor nel corso del XVI secolo (M. Rassu 1996, p. 97). Con l'apertura della Porta Santa, il tempietto ebbe nuova vita. Inoltre la chiesa diede il nome ad un noto marchesato. Tra la fine del XVIII sec. e il XIX sec., col rinnovamento del culto in onore della Madonna, la chiesa ebbe vari interventi di restauro, sino ai lavori di rimaneggiamento del 1830, forse estesi anche all'ampliamento del sagrato.

L'AUTORE.
L'ingegner Massimo Rassu
svolge la libera professione
nel campo dell'architettura
e dell'urbanistica.
Ha pubblicato
diversi saggi di storia
e di storia dell'architettura
della Sardegna.

e-mail: maxrax@tiscali.it

The Church.

The building - a single nave with apse to the west - had two separate entrances: one at the side for the monks who entered from the monastery, and the other, at the front, for the faithful. The one on the side, to the north, is known as the "Holy Door" (A. Virdis 1986, pp 216-218). The facade, in squared limestone quoins of medium size is slightly asymmetric, as the south side is wider, perhaps caused by the reconstruction process, aimed at reinforcing the building.

The facade is subdivided by a string course design which, with a slight overhang, breaks the homogeneity of the surface. The lower part is divided by three arches as at the churches of Our Lady of Tergu (Tergu) and St Peter of the Cross (Bulzi). In the middle the doorway opens, softened by pseudo-capitals crafted in a single quoin, with floral decorations, fixed onto the surface to support the architrave. The upper section is characterised by an release arch with lunette -supplying plenty of light, like the doorway - and by the moulded superciliary ridge flanked by small arches with lunette depressed into the wall's thickness, for merely decorative purposes. The main facade is completed by a bell-tower with semi-circular light.

The side facades have been largely refashioned over time. The one on the right, especially, facing south, has been entirely reconstructed without the openings which appear on the opposite side. Still on this wall, but nearer the altar, the traces of an effaced archway are visible, perhaps a connection system with other monastic environments. Higher up, arranged symmetrically, there are three small monophores - architraved and with double-splayed jambs which interrupt the smooth surface.

The apse, too, like the side facades, evidences a wall without pilaster strips, a coved frame delimiting the summit. At the centre a narrow double-splayed monophore opens. The present trussed covering goes back to works carried out in 1973, perhaps according to the previous design. It is not imposible that originally the hall had a barrel vault covering: the upper part on the left side, in fact, demonstrates a slight overhanging curve and the dressing of the stones in the counter-facades.The weight of such a vault might have caused the church to collapse, involving the south face. Other structures in the complex, too, had the same roofing system, such as the stumps of the vault's overhang and the arch resting on corbels in the area around the church, near the apse.

Dating.

The building was completed by Tuscan masters active in t he north of the island between the second half of C12th and the first half of the following. One of the elements on which this date is based is the decoration of the portal of the main entrance.

The door-jambs, with decorations in the form of Corinthian columns with foliage, with an abacus rosette, are similar to the door-jambs of St Mary of Tergu and the capitals of the colonnade of St Mary of the Kingdom of Ardara. Also very much alike are the door-jambs of St Peter of the Cross in Bulzi, at the time cathedral of the diocese of Ampurias (R. Coroneo 1993, p. 129) and the portals St Mary of Uta (R.Coroneo 1993, p.74), St Mary of Tratalias (Coroneo, p.199) and of San Gemiliano of Samassi (R. Coroneo 1993, p.235).

Noteworthy, too, is the south door of St Peter of Zuri near Ghilarzi, of uncertain date (M.Rassu 2001, p. 29). Finally, comparison has also been made with the facade of St Stephen in Magazzini on the isalnd of Elba - a comparison which would allow us to date the church of Seve to the second half of 12th century.

The Inscription and the writings of pilgrims.

The concession of the privilege to collect indulgences, confirmed in 1248, is testified by the symbolic writings - fortunately preserved the numerous redefinitions which the church has undergone over the centuries - which are still visible in some quoins on the outside of the apse, which pilgrims scrawled in the sanctuaries to demonstrate their passage during pilgrimages of penitence (M. Rassu 1997, p.16).

On the outer walls various crosses have been carved out: The Tau crosses, spoken about above, on the right side of the facade, and a clearly visible cross in the right pier of the northern door, the already mentioned "Holy Door", whose original position is unknown. (M. Rassu 1996, p. 96).

On the facade crosses one can read letters and numbers in beautiful characters, forming a brief text, in which the names of two monks are mentioned. The inscription is actually made up of three epigraphs, in Gothic capital letters, easily readable, despite erosion of the limestone over the years in some places. While each of the first two develop on a single line, the third inscription required several lines:

(Cross) FRAT(RIS) GALDI  
S(IGILLUM) FRAT(RIS) GALDI BA 
(Cross) 
FRAT(ER) GUICARDUS 
DE MO(N)TID PRIOR S(AN)C(TA)E 
MARI(A)E ANNI D(OMIN)I MCCLX 

The interpretation both of this and the other inscriptions raises several doubts, not simply about the difficulty in interpreting the unusual abbreviation "Ba" in the second line and that of the letter of the last letter of "MONTID" in the third. In the third writing, the reading "MCCLX" for the date is problematic because the final "X" is shorter and the stroke is ambiguous, compared to the perfect writing in the engraving of the other letters. (...)

La data parrebbe seguita da una sorta di apice che si intravede alla fine, che potrebbe essere anche una minuscola "I" in esponente, forse per facilitare la lettura in genitivo della data anni millesimi ducentesimi sexagesimi, ma più probabilmente ad indicare la data 1261. Sorge, pertanto, il dubbio che si tratti di un'aggiunta e che, forse, la data incisa originariamente fosse MCCL.

 

Le altre due scritte possono considerarsi originali nel loro complesso, essendo certamente posteriori a quella sottostante - stando più in alto e condizionate da essa - anche se si è persuasi a pensarle più antiche. Nella prima, il Tau che sormonta la grande S riparte in due gruppi le lettere FRAT, a loro volta incise in modo singolare: le prime tre sono ruotate di 90 gradi, mentre la "T" è regolarmente incisa in verticale; ma l'iscrizione continuava con le due lettere GA del nome Galdi tracciate con dimensioni maggiori ma ruotate di 90 gradi come quelle di "FRA", mentre il gruppo finale "LDI" ha normale posizione verticale.

Ciò produsse una evidente difficoltà di lettura, che sorse palese da subito: l'iscrizione venne reiterata, con lettere di maggiori dimensioni, nella seconda linea. La seconda iscrizione dovette interrompersi davanti alla croce a Tau della terza, sottostante ma già esistente, perciò dopo il nome Galdi - in genitivo come imponeva la presenza della S di "sigillo" - è presente l'inedita sillaba "BA", con un segno di abbreviazione, che probabilmente va decodificata come iniziale del casato di frate Galdo.

Infine, è proprio l'accorciamento di "BA" che assicura la posteriorità delle due iscrizioni superiori rispetto a quella sottostante, la cui preesistenza è stata decisiva per l'amputazione del termine.

The monastic complex.

Of the monastery there remain the foundations, to the east, of at least five larger areas and two smaller, rather narrow areas, visible on the rectilinear wall. The monastic settlement developed around the cloister, which contained a well, manufactured goods destined for various uses and the church outside the monastery.

The planimetric design of these wall structures is not perpendicular to that of the church. Active from C12-14th, a a different moment for its construction, on a different longitudinal axis, is possible. The so-called "Hermitage", actually the living quarters of the monastery - was divided up according to the kitchen-refectory/dormitory schema, perhaps with a distinction between monks and lay brothers.

The buildings on the east side were built using stones of various sizes arranged in rather irregular rows, and joined together with mud mortar. The other areas, housing workers and craft activities, were constructed crudelywith techniques by locals and completed without particular attention.

In the north wing, an oven is still visible, circular and in the form of a small rock wall, then a water sysem, formed from a walled base with a deep canal, carved out of the rock to control the rainwater coming from the hill. A short distance away there is also a small quadrangular water-tank.

At the centre of the cloister there was a well, 9m deep, hewn from the rock and containing receptacle with a sizeable number of animal bones inside, especially by deer, and placed carefully at the base, an unusual metal container. Here and there inside the court, especially around the well of the original floor, there are traces of the original flooring, a sort of "cobbling" which is repeated in other places, though damaged and refashioned over the centuries.

Around the sides of the monastery there were the foundation structures of two further areas which would have completed the original design. Moreover, these were built skilfully, as the round arches, capitals, pilasters, bases and mouldings testify. From the medieval habitat of Seve, on the other hand, only a pile of stones remains to record the parish of St James (Santu Jagu), situated 700m south-west of Saint Mary's, in a plain on the opposite bank of the river.

Massimo Rassu

Translated into English by Laurence Gambella.

BIBLIOGRAFIA

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G. Zanetti, 1968. I Vallombrosani in Sardegna.

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