Sulle mura di Cagliari e su cinque ospedali sardi
la firma del frate ingegnere

Nel Seicento la carriera di ingegnere non iniziava seguendo un regolare quanto inesistente corso di laurea universitario: il titolo derivava invece da meriti guadagnati sul campo, nell'amministrazione delle risorse umane e strategiche a disposizione. Questa premessa rende meno improbabile il profilo personale di un ingegnere militare appena conosciuto agli addetti ai lavori, e che tuttavia scrisse qualche pagina significativa nella storia dell'architettura della Sardegna a metà del XVII secolo.

La vita di fra' Giusto di Santa Maria, al secolo Don Diego Duca di Estrada (1589-1649), personaggio degno del Manzoni, si può dividere in due parti: un primo periodo all'insegna della spada, vissuto in giro per l'Italia, l'Europa e il Mediterraneo come capitano di ventura e consigliere dei potenti. Poi la conversione, la presa dei voti e l'impegno nella fondazione di nuovi ospedali, quasi interamente in Sardegna, nel doppio ruolo di frate e di ingegnere, esperto sia nel campo militare che civile.

La sua figura fu tratteggiata da Benedetto Croce, che, occupandosi più volte di lui in ritratti a volte poco lusinghieri, espresse una critica forse preconcetta (B. Croce 1928; B. Croce 1936). Più obiettiva l'autobiografia nella quale lo stesso fra' Giusto annotò, con semplicità e schiettezza, sorprendenti e spesso sconcertanti episodi, tali da giustificare il titolo "Comentarios de el desengañado de si mismo, Prueba de todos estados y eleccion del mejor de ellos", "Commentari del disingannato di se stesso. Prova di tutti gli stati di vita e scelta del migliore di essi" (G. Russotto 1956, pagine 15-16).

Nato a Toledo nel 1589 da don Giovanni e donna Isabella, duchi di Estrada, Diego rimase orfano di entrambi i genitori a tre anni e fu accolto in casa d'un amico del padre, istruito nelle lettere ed avviato alla vita cavalleresca e cortigiana del tempo. Frequentò i circoli letterari e mondani di Madrid, dando saggio del suo versatile ingegno, e a 19 anni, nel 1608, tornò a Toledo. Fu arrestato più volte per omicidio e condannato alla pena capitale, ma si salvò grazie all'interessamento del Duca di Lerma. Evase dal carcere di Toledo e si trasferì in Italia, sbarcando a Genova; visse poi a Roma e Napoli. Nel 1614 si arruolò nell'armata napoletana. S'imbarcò più volte per imprese in nord-Africa, nell'Egeo e nell'Adriatico contro Venezia, compiendovi ogni sorta di imprese (G. Russotto 1956, p. 16).

Nel 1616 si stabilì a Napoli, dove si sposò. Nel 1622, abbandonati consorte e figliolanza, prese a peregrinare per le città della penisola, ritornando alle vecchie abitudini: risse e duelli. Nel 1628 fuggì in Sicilia e s'imbarcò come aiutante militare nella flotta di 14 galere finanziata dal principe Emanuele Filiberto di Savoia contro i corsari barbareschi, distinguendosi al punto da meritare la nomina a comandante dell'intera squadriglia. Dopo la morte del principe, passò al servizio della Repubblica di Genova, allora in guerra proprio contro il principato sabaudo (G. Russotto 1956, p. 17).

L'AUTORE.
L'ingegner Massimo Rassu
svolge la libera professione nel campo dell'architettura e dell'urbanistica. Ha pubblicato diversi saggi di storia e di storia dell'architettura della Sardegna.
e-mail: maxrax@tiscali.it

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Un ritratto di fra' Giusto, pubblicato in un libro del 1956.

Lasciata anche Genova, mise dimora prima a Venezia e poi a Padova, dove frequentò l'università. Scrisse di letteratura e di filosofia, e compose anche alcune commedie. L'Italia ormai gli stava stretta: si trasferì come consigliere militare in Transilvania, per due anni nella corte di Bethen Gabar. Poi, sempre con quella qualifica, militò sotto l'Imperatore di Germania col grado di capitano ingegnere, prendendo parte alla difesa di Frauenberg (di cui venne nominato governatore) e ad altre campagne militari. Fu promosso governatore della provincia tedesca di Budweis. Nel 1633, dimessosi da governatore, ottenne il permesso di tornare in Italia.

E a Roma nel 1634, all'età di 45 anni, dopo la morte improvvisa della moglie e di quasi tutti i suoi figli, Don Diego Duca di Estrada prese i voti nell'Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio (o dei Fatebenefratelli), assumendo il nuovo nome di fra' Giusto di Santa Maria. Due anni dopo il Capitolo provinciale dei Fatebenefratelli decise il suo trasferimento in Sardegna, con altri due religiosi, per la fondazione di ospedali e la creazione di una nuova provincia dell'Ordine anche nell'isola (G. Russotto 1956, p. 18).

Tramite gli appoggi del marchese di Castelrodrigo, ambasciatore sardo a Roma, fra' Giusto godette da subito della protezione del viceré di Sardegna, don Antonio Jimenez de Urrea Enriquez, marchese di Almonacid e conte di Pavia e dell'arcivescovo di Cagliari don Ambrogio Machin (G. Russotto 1956, p. 20). Il suo primo intervento fu l'opera di rifondazione dell'Ospedale di Sant'Antonio della Costa, nell'attuale via Manno: "Il 10 maggio del medesimo anno 1636, prendemmo possesso dalle mani dei signori giurati con la consueta solennità, e l'ospedale venne riportato a nuovo stato". Fondato dai frati ospitalieri di Sant'Antonio di Vienne nel 1360, l'ospedale dal 1534 al 1636 era stato gestito direttamente dalle autorità cittadine, ma all'epoca era in decadenza (M. Rassu 1996, p. 44, nota 99; p. 61).

"L'ospedale venne fabbricato in parte e restaurate dove si trovava in cattive condizioni; si fecero gran quantità di letti di ferro, materassi, lenzuola, federe, tende, biancheria e nuove officine. A tale scopo mi recai a Napoli, da dove portai croci, piattini d'argento per la Comunione e tutto l'occorrente per ornare gli altari. In questa occasione il Signor conte di Monterrey mi diede una generosa elemosina di 450 pezzi di stagno, che portai all'ospedale" (G. Russotto 1956, p. 21).

L'opera del frate ingegnere in Sardegna non riguardò solo le fondazioni ospedaliere: svolse anche l'attività di consulente militare e progettista di fortificazioni, grazie alla sua riconosciuta esperienza. Nel marzo 1636 fra' Giusto preparò una relazione per il Viceré sulle opere militari da adottarsi per rafforzare le difese della città di Cagliari. Il suo parere forse contribuì a far deliberare i lavori necessari per la realizzazione del baluardo proposto nel 1635 dall'architetto militare napoletano fra' Lelio Brancaccio.

Il progetto prevedeva la costruzione di alcune strutture nel costone orientale (l'area oggi detta Terrapieno, tra Castello e Villanova), rimasto sino ad allora sguarnito, tra cui un Bastione poi detto del Vicerè, inglobando uno spuntone roccioso alla base del Palazzo Arcivescovile (G. Pillito 1874, p. 50, nota 2). L'inserimento di tale opera sotto la cattedrale era stato già suggerito nel 1523 da un altro consigliere militare, il marchese di Pescara, e dal viceré D'Aragall nel 1551.

Fra' Giusto inoltre raccomandò che si stringessero le mura del Castello e della Marina con fosso e strada coperta per impedire lo scavo delle gallerie di mina da parte di eventuali assedianti (ASC, AAR, vol. P16, f. 116). Tra le altre misure suggerì la difesa del castello di San Michele: la sua proposta fu ripresa anche dall'alcaide dello stesso maniero, il quale chiese urgentemente l'avviamento delle nuove opere e un adeguato potenziamento in uomini e munizioni.

Nel maggio 1636 iniziarono vari lavori di restauro delle fortificazioni di Castello e Marina e nel castello di San Michele. Un avvio stentato, causa la mancanza di fondi, ma i cantieri ottennero nuove risorse dopo l'attacco francese ad Oristano, nel febbraio 1637. La facilità con cui un manipolo di armati aveva potuto minacciare una città reale dell'isola convinse le autorità spagnole a prendere provvedimenti urgenti. Fra' Giusto, per la sua "esperienza di quarant'anni di guerra", venne nominato dal vicerè Consigliere di Guerra di Sua Maestà, e dall'arcivescovo "Luogotenente Capitano Generale e Sergente Maggior Generale del braccio ecclesiastico".

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La facciata posteriore
della chiesa di Sant'Antonio Abate, a Cagliari, vista da piazza San Sepolcro.

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Stemmi trecenteschi
sulla parete esterna dell'antico ospedale di Sant'Antonio.

Nella prima sessione del Consiglio Generale, fu lui a suggerire alcuni provvedimenti urgenti (G. Russotto 1956, p. 31). Il frate ebbe l'incarico "di provveder di munizioni e difendere la città" di Cagliari, "il che venne eseguito in brevissimo tempo". Furono approntate sotto la sua guida varie opere minori: ripulitura dei fossati attorno alle mura, demolizione di una ventina di baracche e di diverse case, stalle e terrazze costruite abusivamente a ridosso delle mura. Furono aperte nuove strade per il passaggio della fanteria, rinforzati gli ingressi alla città con palizzate, restaurati i parapetti delle mura che erano crollati.

A questi anni si deve datare il fossato che circonda il castello di San Michele: al suo interno infatti sono stati rinvenuti cocci databili a partire dal XVII secolo in poi, e nessuno di età medievale. Inoltre, le poche fonti documentarie sul castello ricordano la presenza di una trincea attorno al maniero solo dal '700.

La città doveva essere pronta a resistere ad un eventuale assedio: fra' Giusto ordinò che fossero aumentate le scorte di viveri e munizioni, costruendo dei magazzini. Nuovi forni furono costruiti nella scuola dei Padri Gesuiti e parte della loro casa fu destinata ad ospedale per i feriti. Quasi 600 tra chierici, sacerdoti e religiosi dei vari Ordini furono reclutati per i servizi ausiliari, sotto la guida di canonici nominati "capitani" (G. Russotto 1956, p. 32).

Negli anni successivi, l'avventura di fra' Giusto in Sardegna proseguì con la fondazione di nuovi conventi ospedalieri. Raccontò nei suoi "Comentarios": "nel Capitolo Generale del 1639 fui eletto canonicamente priore di Sassari, fondazione mia, poiché con la presidenza mi era stata data l'autorizzazione di fondar conventi, vestir novizi ed ammetterli alla professione" (G. Russotto 1956, p. 21). L'ospedale della capitale turritana, intitolato all'Annunciazione, era stato infatti la sua seconda fondazione, già nel 1636.

Dopo una breve parentesi siciliana nell'estate del 1642, il frate ingegnere si spostava ad Alghero e poi nuovamente a Sassari. Oltre alla costruzione dell'ospedale, tra il 1643 e il 44 ad Alghero collaborò col viceré Duca di Avellino per il miglioramento delle fortificazioni cittadine. Poi un nuovo cambio di residenza, a Bosa: su invito delle autorità cittadine, nel giugno 1644 fondò l'ospedale intitolato allo Spirito Santo (G. Russotto 1956, p. 22; p. 39). Nell'aprile 1645 fra' Giusto fu richiamato a Roma e da qui inviato nel priorato di Somma Vesuviana, presso Napoli. Trascorse i suoi ultimi anni come priore dell'ospedale di Taranto, dove morì il 13 febbraio 1649.

A buon diritto, fra' Giusto deve essere ricordato come il fondatore della provincia sarda dell'Ordine ospedaliero, intitolata a Sant'Antonio Abate: le cinque fondazioni ospedaliere dei Fatebenefratelli nell'isola furono create nei primi otto anni dopo il suo arrivo. Della precedente attività svolta dai Fatebenefratelli nell'ospedale di Sassari per circa due anni (1598-1600) poco si conosce.

Massimo Rassu

BIBLIOGRAFIA

B. Croce, Realtà e fantasia nelle memorie di Don Diego Duque de Estrada, in "Atti della Regia Accademia di scienze morali e politiche", Napoli, 1928.

B. Croce, Vite di avventure, di fede e di passione. Filippo di Fiandra, Il Conte di Campobasso, Il Marchese di Vico, Isabella di Mora, Diego Duque de Estrada, Carlo Lauberg, in "Scritti di storia letteraria e politica", vol. XXX, pp. 321-349, Bari, 1936.

G. Pillito, Memorie tratte dall'Archivio di Stato di Cagliari ... dal 1610 al 1720, Cagliari, 1874.

M. Rassu, Ipotesi sui Templari in Sardegna, Cagliari, 1996.

G. Russotto, I Fatebenefratelli in Sardegna, Roma, 1956.

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