Un falso storico sulla chiesa cagliaritana
di San Francesco di Stampace
fa vacillare vecchie certezze

La ricerca sulla storia dell'architettura medioevale in Sardegna pareva essersi fossilizzata attorno a studi ormai datati. Per quanto riguarda l'arrivo nell'isola del cosiddetto "stile gotico" la storiografia si attiene ad una ricostruzione oggi data per scontata e consolidata (R. Coroneo, 1993). Ma una nostra recente scoperta (M. Rassu, 1998) potrebbe mettere in discussione le attuali datazioni. Contrariamente alle tesi "ufficiali", infatti, la fabbrica gotica del San Francesco di Stampace a Cagliari - attribuita a maestranze francescane della seconda metà del XIII secolo - fu in realtà edificata solo nel secondo quarto del '300, peraltro su una struttura preesistente.

Siamo giunti a questa conclusione dall'analisi dell'atto di vendita della vasta area compresa fra gli attuali corso Vittorio Emanuele e piazza del Carmine, dove i Francescani costruiranno in varie fasi il loro complesso monastico. Tale documento, con data 18 aprile 1275, si è rivelato essere in realtà un falso stilato nel XIV secolo e retrodatato a tal anno.

Il contratto si compone in realtà di due rogiti notarili entrambi datati 1275: ambedue sono stati riportati nello studio del frate Costantino De Villa sui francescani in Sardegna (C. Devilla, 1957). Il testo è simile a tanti contratti commerciali pisani del XIII e del XIV secolo: come in questi, l'atto di vendita riporta i nomi dei contraenti, l'oggetto del negozio con la sua descrizione, i termini di pagamento, ma anche il luogo della stipula, la data e i nomi del notaio e dei testimoni che firmarono.

Emerge dalla lettura dei brani, soprattutto del secondo, una singolare ignoranza di nomi e titoli che pure dovevano essere conosciuti in quel periodo, mentre il testo, ritoccato qua e là, offre delle formule irregolari o addirittura assurde. Il primo rogito fu stilato da "Iacobo de Vitignano notaro" stando "in Castello Castri et solario domus haeredum Ario Dei [sic] quod est in Ruga Mercantorum" (C. De Villa, 1957, p. 578).

Nel secondo rogito, stipulato "in Castello Castri in apoteca de tredio domus quodam Caulinj ... quae est antea Platea Communis dicti Castri" (C. De Villa, 1957, p. 579), tra i testimoni compariva tale "Rusticello censale quondam Guidonis" (C. De Villa, 1957, p. 579). Entrambi comunque ricordano anche il proprietario, il chirurgo Tancredi, medico di Santa Restituta, e l'acquirente, tale "Periciolo quondam Constantini de Castello Castri", tutore dei francescani (C. De Villa, 1957, p. 576).

Controlli incrociati con vari documenti degli anni 1250-1340 conservati nell'Archivio di Stato di Pisa, e pubblicati integralmente da vari autori, hanno permesso di rintracciare alcuni dei personaggi nominati. Un "Jacobo de Titignano notario scriba publico Comunis Castelli Castri" firmava un atto del 26 aprile 1316 (F. Artizzu, 1963, p. 136) ed altri atti del 1317 (F. Artizzu, 1963; p. 109; p. 112; p. 115). Nel 1318 si era trasferito in Toscana (F. Artizzu, 1963, p. 76; p. 87). Aveva comunque una casa a Cagliari, nel Castello, nella "Rua Marinarii de Supra" (oggi via Martini), che nel 1329, essendo nel frattempo deceduto, non era stata ancora divisa tra i suoi eredi: "hereus de Gaddo de Visinyano, ... notari" (R. Conde, 1984, p. 45).

Un'ipotesi prudente lascerebbe spazio all'eventualità che si tratti di un omonimo. Ma oltre al notaio siamo riusciti ad identificare anche il proprietario della bottega nella quale fu stipulata la vendita, e uno dei testimoni. Tale "Becti Caulini de Castello Castri" viene citato nel 1321 (F. Artizzu, 1963): la sua casa era situata in Castello presso l'attuale portico Vivaldi Pasqua, e quindi di fronte all'antica Platea Communis (R. Conde, 1984).

Anche tale "Rustichello f. Guidonis Rustichelli" compare in un atto del 1316 stando, però, a Pisa (F. Artizzu, 1963; p. 130-133). Infine, il tutore dei francescani è citato indirettamente nel 1307: "Fredericus filius quodam Periccioli Costantini" (F. Artizzu, 1963; p. 79). Degli altri personaggi presenti come testi nei due atti di vendita non si sono trovati riscontri. Ma quei quattro localizzati temporalmente sono sufficienti a legittimare molti dubbi sulla veridicità della datazione attribuita al contratto, se non addirittura sull'autenticità della vendita: tutti erano presenti a Cagliari negli anni 1307-1322, invece nessuno compare negli anni intorno al 1275.

L'incredulità viene ulteriormente giustificata da un'altra scoperta: la prima attestazione sicura dell'esistenza del convento francescano in Stampace risale solo al 1317 - con il testamento del mercante pisano Neri di Riglione (F. Artizzu, 1963) - esattamente 42 anni dopo la presunta fondazione. Un intervallo decisamente troppo lungo, anche per un monastero "fantasma", mentre è accertato che i Frati Minori ancora nell'anno 1299 (L. Baylle, 1790) risiedevano a Santa Maria de Portu, chiesa "tuttora di controversa localizzazione, nel passato identificata in quella di S. Bardilio, vicino Bonaria, oggi demolita" (F. Masala, 1995, p. 34).

A scanso di equivoci, occorre precisare che il terreno "acquisito" dai francescani corrisponde esattamente all'intero isolato di Stampace Basso ove tuttora sono i resti del chiostro. Si possono seguire le indicazioni topografiche citate nel contratto: "quod totum tenet unum caput versus occidentem in via publica aliud caput versus orientem [...] latus unum versus meridiem in via publica, aliud versus septentriones". A est il complesso francescano era delimitato dalla via Angioy (via del Condotto), parziale eredità di una strada che veniva giù dalla via Fara.

Il limite meridionale del complesso, attestato nel parcellare ottocentesco, lambiva le aree esterne della piazza del Carmine e coincideva col proseguimento verso est del tratto stradale di età romana individuato negli scavi archeologici di via Malta. Ad ovest, sino al XIX secolo, c'era un vicolo (chiuso dall'ex palazzo del CIS e connesso al vico Porto Scalas), parallelo alla via Sassari e alla via Maddalena. Infine, la via segnata "versus meridiem" si identifica con la porzione del corso Vittorio Emanuele compresa tra le vie Sassari e Angioy (M. A. Mongiu, 1995).

Le prove archeologiche

Parlando delle origini del convento stampacino, ancora nel XIX secolo la tradizione popolare ricordava un antico monastero benedettino che fu poi rilevato dai Frati Minori, come riportava il canonico Giovanni Spano nella sua "Guida" di Cagliari: "Dicesi che prima fosse un monastero di Benedettini, e secondo altri di Basiliani" (G. Spano, 1861, p. 169).

La fonte dello Spano parrebbe essere lo storico padre Giorgio Aleo, che scrisse nella seconda metà del XVII secolo il manoscritto di cui rimane un'unica copia alla Biblioteca Universitaria di Cagliari: " ... La Iglesia y conbento, que oy tienen los Religiosos claustrales de su P. S. Francisco en esta Ciudad de Caller fue antiguamente Monasterio de Benitos ...; y viriendo despues e fundar los Religiosos de mi P. F. Francisco, les fue dadu aquella, y fundaron el conbento ..." [La chiesa e convento che oggi (cioè nel 1680, ndr) appartiene ai frati conventuali di San Francesco in questa città di Cagliari fu anticamente monastero di Benedettini; ... in seguito, arrivati i religiosi di San Francesco, gli fu data quella (chiesa) ed (essi) fondarono il convento] (G. Aleo, 1680, pp. 964-965).

Accogliamo l'informazione a semplice beneficio d'inventario, poiché è risaputo che la maggior parte delle notizie riportate dall'Aleo, così come dagli altri "annalisti" del '500 e '600, non sono attendibili. Ma se, all'opposto, la circostanza fosse vera, spiegherebbe la necessità di un escamotage dei frati minori per rimanerne in possesso. Infatti non vi sarebbe stato niente di male nell'acquistare una chiesa o un convento di un altro Ordine religioso, poichè nel medioevo era una prassi corrente. Perché allora i Francescani avrebbero dovuto fare retrodatare il passaggio al 1275, falsificando o inventando di sana pianta un atto di acquisto? Forse erano entrati in possesso delle strutture in maniera illegale?

Quest'ultima possibilità induce a proporre la datazione del falso agli anni 1330-40, nel periodo in cui sorsero dispute col clero locale che reclamava la proprietà dei monasteri già appartenuti ad ordini benedettini. Nel 1330 e 1336 l'arcivescovo di Cagliari protestò ripetutamente col re d'Aragona sulle appropriazioni indebite che Agostiniani, Domenicani, Francescani e Carmelitani avevano fatto a danno della curia (Scano, 1940). Un caso simile si era verificato nel 1336: l'arcivescovo reclamò al sovrano catalano la proprietà del colle di San Michele, a Cagliari, ove fu costruita una fortificazione sui resti di un'insediamento monastico, riscoperti durante gli scavi archeologici del 1989-91.

Già nel 1333 non solo i Francescani ma anche le Clarisse di Cagliari (chiesa di Santa Margherita in Stampace) erano entrati in conflitto col clero della parrocchia di Stampace sulla questione della sepoltura di un parrocchiano. Tali dispute tra frati e clero diocesano erano frequenti nel medioevo ed erano soprattutto legate alla questione delle giurisdizioni e alla raccolta di tasse e lasciti. I legami dei frati con famiglie nobili (o comunque influenti) e con il ceto mercantile - stando ad una prassi accertata ovunque si segnalino fondazioni francescane - comportava la cessione di cospicue donazioni da parte di ricchi, e sovente illustri, donatori in cambio di una degna sepoltura all'interno della chiesa o nelle pertinenze del convento (J.R. Webster, 1988).

Di quelle proteste rimane traccia in una lettera del re aragonese all'arcivescovo Gonzalo, in cui si difendevano alcune prerogative che erano state accordate ai due monasteri in passato, tra cui quella di poter seppellire un parrocchiano nel proprio cimitero (J.R. Webster, 1988).

Ecco allora la necessità di retrodatare ad un "passato" lontano una proprietà la cui provenienza era chiacchierata: "fue antiguamente Monasterio de Benitos". Bisogna evidenziare che dopo il massacro degli abitanti di Stampace (1326), l'espulsione dal Castello e l'esilio di tutti i residenti in Toscana, terra dalla quale provenivano i loro avi (1328-30), in tutta l'area di Cagliari non rimanevano testimoni né atti ufficiali che certificassero le proprietà dei vari enti religiosi. In questo frangente era abbastanza facile creare un documento in cui gli ignari "contraenti" erano ormai morti e sepolti: va visto semplicemente come un falso fabbricato a tavolino sulla falsariga di documenti autentici degli anni 1316-1321, e poi retrodatato al 1275.

L'analisi archeologica ha evidenziato che la chiesa ed il convento di Stampace furono edificati sui resti di costruzioni precedenti. Nel settore sud-ovest, ovvero nel lato che si affaccia sulla via Mameli, sono visibili tracce di diversi ambienti, fasi e tessiture murarie. Nel muro occidentale del chiostro si riconoscono i resti di un manufatto preesistente la fabbrica francescana e da questa inglobato, costituiti da pilastri con laterizi di spoglio inseriti con malta di calce e zeppe di calcare.

Sulla parete est compare l'incasso di una scala, mentre su quella di fondo sono tre aperture di momenti differenti di cui due tamponate (M. A. Mongiu, 1995). Tali murature preesistenti si riconoscono in quelle elencate nel falso atto di acquisto del terreno: "aliud latus versus septentriones [...] vel si alii sint confines et clariores et meliores et in quo petio terrae est quaedam cripta Sancta Anastasia cum omnibus et singulis muris lapidibus et omnibus aliis rebus quae intra media habet cum ingressibus et egressibus suis" (C. De Villa, 1957, p. 578).

Si rinviene un tratto formato da blocchi ed elevato con piedritti e tracce di volte a crociera, in frammenti calcarei e laterizi di spoglio, intonacato a calce. Le tecniche costruttive individuate erano tutte di età bizantina ed altomedioevale, attestate in un periodo compreso tra il VI e il X-XI secolo, come hanno evidenziato vari scavi nell'area cittadina (M. A. Mongiu, 1995). Inoltre, quasi a conferma, nel versante occidentale del complesso è stato scoperto un vano sotterraneo (sarà la "cripta Sancta Anastasia"?), scavato nella roccia e aperto verso nord, nel quale si entra scendendo alcuni gradini scoscesi.

Tra i sistemi costruttivi inglobati nel San Francesco si mettono in risalto le murature a blocchi squadrati a corsi regolari, e quelle squadrate isodome, della fine del XIII secolo. Resti similari si possono individuare in un palazzo all'angolo tra piazza Yenne e via Santa Margherita, ma soprattutto nella Torre dello Sperone (detta anche "degli Alberti", o "di San Michele") e nelle parti inferiori della parete meridionale dell'Ospedale Civile (M. A. Mongiu, 1995).

Non saremo lontani dal vero nel riconoscere che tali strutture del XIII secolo siano da assimilare con il "Monasterio de Benitos" di cui parlava l'Aleo, e identificabili con le chiese vittorine di Sant'Anania de Portu, Sant'Andrea de Portu o San Salvatore de Bagnaria, tutte ricadenti nell'area urbana di Cagliari, ma mai localizzate.

Entrati in possesso del monastero benedettino in un anno imprecisato (1312 ?) compreso tra il 1299 e il 1317, i Francescani ne furono cacciati dagli aragonesi nel 1326 durante l'assedio di Cagliari. Secondo la Crónica di Ramon Muntaner, gli iberici, dopo essersi impadroniti di Stampace ed averne uccisi tutti gli abitanti, conquistarono il monastero di Stampace e la chiesa - covo dei nemici d'Aragona - venne demolita.

Le pietre e i legnami furono trasportati a Bonaria, dove si stava costruendo una nuova chiesa di San Francesco per i francescani catalani: "Ordenaron que la iglesia de los frailes menores, que era muy rica, la deshicieran y que en onor de mi señor san Francisco la trasladaran a Bonayre y que se fuese el convento de los frailes" (ordinarono che la chiesa dei Frati Minori, che era molto ricca, fosse demolita e che in onore di San Francesco trasferita a Bonaria e si edificasse il convento dei frati) (Muntaner, 1844, p. 683).

Gli aragonesi si opponevano alla presenza in Sardegna di ecclesiastici italiani: il sovrano in persona, Alfonso, nel 1329 si era rivolto al papa Giovanni XXII, ottenendo però soltanto lo spostamento dei superiori dei conventi degli Ordini Mendicanti nell'isola con religiosi iberici, mentre rimase rinnovata la dipendenza dalle province italiane (J.R. Webster, 1988).

Qualche anno dopo si procedette alla ricostruzione: le devastazioni del 1326 alla chiesa furono tanto notevoli da richiedere un finanziamento pubblico e un intervento protratto per diversi anni. Il Vicario generale, fra' Nicola, in una lettera al sovrano aragonese nel 1328 parlava di completa distruzione dell'edificio. Nell'aprile 1330 l'Amministratore generale per la Sardegna, Pietro De Llivia, ordinava il pagamento ai Francescani della somma che era stata accordata loro nel 1328 per riparare il loro convento di Cagliari, un importo notevole. Due anni più tardi si apprende che il muro che chiudeva la casa attendeva ancora i restauri (J.R. Webster, 1988).

Basandosi sulla falsa testimonianza del documento, vari studiosi dal XIX secolo ad oggi, dal padre Vittorio Angius agli attuali, hanno fatto risalire il primo impianto della chiesa " senza alcun dubbio" agli anni successivi al 1275.

E di recente è stato affermato che "... la presenza, nelle mensole dell'architrave ..." del portale oggi montato nella facciata del santuario di Bonaria, di un fregio " a foglie d'acanto fra caulicoli [...] ornato ancora romanico indicherebbe, senza alcun dubbio, che la chiesa fu edificata subito dopo l'acquisto del terreno, cioè il 1274, e quindi fra l'ottavo e il nono decennio del Duecento" (A. Sari, 1986, p. 246). Inoltre, il monastero francescano "duecentesco" sarebbe divenuto il modello di diverse chiese attribuite a maestranze francescane: San Bardilio di Cagliari, la cattedrale di Iglesias, Nostra Signora di Valverde (Iglesias): "Da Cagliari quindi le forme gotiche importate dai francescani si diffusero rapidamente, dando così l'avvio nell'ultimo ventennio del '200 ad un nuovo linguaggio architettonico" (A. Sari, 1986, p. 247). In realtà, se le date sono rispettate, poche imitazioni ebbe la fabbrica gotica del San Francesco di Stampace.

La storiografia francescana assicura l'esistenza nell'isola di soli tre conventi sino al 1320, e la nascita di altri due (Alghero e Iglesias) negli anni 1325-30 per opera di francescani catalani (C. Devilla, 1957; J.R. Webster, 1988; R. Coroneo 1993). Ognuna di queste "vere" fondazioni conventuali presenta o presentava caratteristiche formali proprie, in genere differenti le une dalle altre (R. Delogu, 1952; R. Serra, 1990; R. Coroneo, 1993; A. Sari - F. Segni Pulvirenti, 1994), e perciò non riconducibili ad una precisa maestranza.

Paradossalmente, a fronte di poche chiese sicuramente appartenenti ai Frati Minori nella seconda metà del Duecento e sino al primo quarto del Trecento, sono state attribuiti a maestranze di costruttori legate ai Francescani italiani - e, in particolare, alla fabbrica del convento stampacino - vari edifici datati o databili alla seconda metà del XIII secolo, ma il cui collegamento con gli ordini mendicanti è tutto ancora da provare.

" Dopo la costruzione del San Francesco di Stampace ebbero inizio i lavori di ristrutturazione della S. Maria del Porto [...] il taglio della bifora, le archeggiature lobate e lo stesso andamento delle cornici erano esemplati sul S. Francesco di Stampace da cui senza dubbio provenivano le maestranze" (A. Sari, 1986, pp. 246-247). A parte il fatto l'imprudenza del "senza dubbio", la ricostruzione del Delogu del San Bardilio di Cagliari (forse Santa Maria de Portu?) è inficiata da vistosi errori: non corrisponde assolutamente a quelle poche foto scattate prima della demolizione dell'edificio nel 1909.

Ancora più labili sono i riscontri con le due chiese di Iglesias, la Nostra Signora di Valverde e la cattedrale: soprattutto con la prima, che - datata al XIII secolo - viene citata per la prima volta nel 1341.

Conclusioni

Venendo a mancare molti dei dati sino ad ora utilizzati dagli storici dell'arte, andrebbero naturalmente riviste anche tutte le loro teorie sul gotico "francescano" nell'isola. E qui il compito diventa più arduo, anche perché le varie speculazioni si basano in parte su queste informazioni in passato ritenute valide e consolidate.

Per quanto riguarda il San Francesco di Stampace, appare ormai chiaro che fu costruito in più riprese sui ruderi di un edificio di età romana o altomedioevale, già inglobato in una fabbrica benedettina del XII-XIII secolo: lo stile "francescano" corrisponderebbe ad una di quelle fasi successive, comunque, al 1315-17, o, più probabilmente, al 1328. Si può al più formulare la congettura che l'edificio raffigurato nelle immagini ottocentesche prima della sua scomparsa (1885) e di cui rimangono pochi brani, sia stato effettivamente ricostruito negli anni successivi al 1330 da capimastri provenienti dalla Toscana, con cui i legami non vennero mai abbandonati.

Sul San Bardilio di Cagliari, ormai scomparso, si sospende il giudizio data la mancanza di notizie congrue.

È possibile - viste le affinità già rivelate - che le chiese della Nostra Signora di Valverde e la cattedrale di Iglesias siano da attribuire alle stesse maestranze. Quali maestranze, però? Se dell'ultimo quarto del XIII secolo, sono da escludere gli operai francescani di Stampace. Se l'attenzione si sposta alla prima metà del secolo successivo, allora si riaffaccia la possibilità dell'intervento degli artefici della fabbrica stampacina.

Purtroppo, la vastità di informazioni da vagliare, confrontare e selezionare, l'assenza di uno studio critico su tutte le fonti storiche, nonché le molte, troppe notizie contraddittorie pubblicate, non permettono di ricomporre il movimentato mosaico. Rimane probabilmente un'unica certezza: la "Storia dell'Architettura" in Sardegna è ancora tutta da scrivere.

Massimo Rassu

L'autore di questo articolo.
L'ingegner Massimo Rassu svolge la libera professione nel campo dell’architettura e dell'urbanistica.
Ha pubblicato diversi saggi di storia e di storia dell'architettura della Sardegna.
e-mail: maxrax@tiscalinet.it


Il corso di Yenne a Cagliari (oggi corso Vittorio Emanuele) in una celebre immagine della metà del XIX secolo: sulla sinistra il campanile del San Francesco di Stampace.


I resti del chiostro di San Francesco in via Mameli, a Cagliari.

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Nelle strutture murarie del complesso di San Francesco di Stampace sono visibili le tracce di interventi di varie epoche.

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Una fantasiosa ricostruzione della facciata della chiesa di San Bardilio (da Delogu, Tavola CXCVII) e - in basso - una diversa ipotesi di restituzione della facciata in un disegno di Massimo Rassu.

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La facciata della chiesa di San Bardilio (Santa Maria del Porto?) a Cagliari, prima della demolizione.

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BIBLIOGRAFIA

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