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    Romana: San Giovanni di Sottoterra

     

     

    (tratto da "Sardegna Antica Culture Mediterranee", n. 39, 1° Semestre 2011, p. 20)

     

    Romana: San Giovanni di Sottoterra

    Massimo Rassu

    Lo studio della presenza e delle proprietà degli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, poi detti “Cavalieri di Malta”, nel 1996 aveva portato alla scoperta nel territorio di Romana (SS) di un latifondo detto Salto di Littigheddu con le due chiese di Santa Maria de Lito (oggi della Salute o de S’Ispidale) e di San Giovanni di Sottoterra.[1] La sua localizzazione era stata possibile dalla disponibilità di due inventari, detti cabrei, dei beni della commenda di San Leonardo de Siete Fuentes (Santu Lussurgiu), i volumi AOM 5969 e AOM 5947 conservati nella National Library di Malta sede del suddetto Ordine.[2] Dal 1995, la ricerca sui Cavalieri di Malta e del Tempio a Romana proseguiva anche con l’apporto di altri studiosi.[3] In un altro cabreo, compilato nel 1715 ed edito nel 2005 dal dott. Emanuele Melis nella sua tesi di Dottorato,[4] il San Giovanni veniva ricordato ancora officiato per la festa rurale sino ai primi anni del XVIII secolo,[5] ma sconsacrato a metà del ‘700 e quindi lasciato andare in rovina. Un «Salto demaniale de Littigheddu» è riportato nelle mappe ottocentesche del Real Corpo di Stato Maggiore e del Cessato Catasto[6], facilmente consultabili nell’Archivio di Stato di Sassari. Sovrapponendo tali rilievi alla cartografia attuale, si possono ricostruire i limiti del Salto di Littigheddu che cominciavano a circa 200 metri sud est dal bivio della SS292 per Romana-Ittiri, aggiravano il Monte Tega insieme al fiume Temo. Poi seguivano i confini sud occidentali dell’agro di Romana, coi comuni di Monteleone, di Padria e di Cossoine, ritrovando il fiume Temo presso le fonti di S’Abbaldente di Modeggiu, da dove risalivano il fiume e costeggiavano la statale sino al punto iniziale suddetto. E non si può sbagliare o pensare a frazionamenti: quel latifondo fu interamente ereditato dal Demanio nel 1808.[7] In base al cabreo del 1776, i confini del latifondo iniziavano dalla chiesa distrutta di “San Giovanni di Sottoterra [che era appunto] el primer mojon y limite [da cui si passava ad] una parete antigua que esta como a cimiento de barracca, que es senal de mojon [e quindi ad] una arbol de olastri y un cimiento de piedras antiguo [rispetto al quale] poco distante de dicho lugar, materia de un tiro de balla, se halla una Iglesia en pie denominada de Santa Maria de S’Ospidale”. E chiudendo i confini, si arrivava al “bachili del monte Santa Maria [de S’Ispidale, da cui risalendo] hasta el dicho lugar de San Juan de sotto tierra”.[8] La chiesa di San Giovanni di Sottoterra si trovava appunto a poche centinaia di metri da quella tuttora visibile di Santa Maria de S’Ispidale, anzi quest’ultima era ad un tiro di schioppo (il documento dice esplicitamente un tiro de balla, circa 60-70 metri) dal confine della proprietà melitense. Il tempio scomparso era quindi situato nell’area ancor oggi detta Santu Juanne, sotto il sedime della statale per Alghero, definitivamente irrecuperabile.[9]



    [1] «Nell'inventario di fra' Anselmi (1629) si parla del Salto de Littu, con la chiesa di S.Maria de Lito, in territorio di Romana i cui confini si prolungavano per 15 miglia, iniziando da San Juan Sottoterra.» M. Rassu, L’Ordine di Malta in Sardegna, Cagliari 1996, p. 90.

    [2] Per i regesti dei due cabrei cfr. M. Rassu, Cavalieri di Malta e Sardegna. Due manoscritti inediti nell’Archivio di Malta, in “Sardegna Antica Culture Mediterranee”, n. 31, giugno 2007, pp. 13-15.

    [3] G. Deplano-M. Rassu, Templari e crociati in Sardegna, Cagliari 1995, p. 50; M. Rassu, Ipotesi sui Templari in Sardegna, Cagliari 1996, pp. 100-101; Id., L’Ordine di Malta, cit., pp. 90-91; Id., Pellegrini e Templari in Sardegna, Cagliari 1997, p. 24; Id., Pozzomaggiore, l’ambiente, la storia, l’arte, Cagliari 1999, p. 29, p. 122; Id., Nuove ipotesi sui Templari in Sardegna, Dolianova 2006, pp. 99-101; ecc.

    [4] E. Melis, Due antichi ospedali del Giudicato d’Arborea: San Leonardo di Sette Fontane di Santulussurgiu e Sant’Antonio Abate di Oristano, Dottorato europeo in Fonti scritte della civiltà mediterranea, XVIII ciclo, Università di Cagliari, 2005.

    [5] Il cabreo del 1715 è in Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, cat. Ordine di Malta, mazzo 218, n. 5; per gentile cortesia del dott. Emanuele Melis.

    [6] Archivio di Stato di Sassari, Cessato Catasto, n. 018, Romana, frazione I (Litigheddu).

    [7] M. Rassu, Il tramonto della Commenda di San Leonardo, in “Sardegna Antica Culture Mediterranee”, n. 33, giugno 2008.

    [8] Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, cat. Ordine di Malta, mazzo 218, n. 9; mazzo 220, n. 1; per gentile cortesia del dott. Emanuele Melis.

    [9] È quindi evidentemente erronea la localizzazione del San Giovanni in regione ‘Costa Piras’, località ‘Sa Cheia’, a poca distanza dall’abitato di Romana, dove, invece, stava la chiesa di Sant’Ervino citata dall’Angius nel Dizionario del Casalis: «Nella regione, appellata da s. Ervino, trovavasi vestigie di antica popolazione, e restano ancora le solide mura d’una chiesa. Presso alla medesima è un sotterraneo, che la tradizione dice essere stata una prigione. In conferma narrasi che ne’ nostri tempi siensi tolte le ultime anelle d’una gran catena». L’antica popolazione corrispondeva all’abitato medievale scomparso di Teclata (cfr. M. Rassu, Pozzomaggiore, l’ambiente, cit., p. 122). Al contrario, Cheia, Cheja, Chea, Cea, in sardo non significa "chiesa", ma "pianoro tra fiancate di montagna", oppure "piazzuola per preparare il carbone".

     

     

     

     

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